Relazione tra microbiota e COVID19

Relazione tra microbiota e COVID19

Premessa

L’infezione causata in tutto il mondo dal coronavirus SARS-CoV-2 ha portato l’Organizzazione Mondiale della Sanità a dichiarare, nel marzo 2020, una pandemia di COVID-19. Poiché non esiste una cura o un trattamento per questo virus, è urgente trovare metodi efficaci e validati per prevenire e curare l’infezione. Il virus, SARS-CoV-2, (virus a RNA a singolo filamento con la capacità di adattarsi al tessuto polmonare e usarlo per moltiplicarsi), è l’agente che causa la malattia nota come COVID-19, ed agisce infettando il sistema respiratorio. 

Quando entra nei polmoni, provoca una reazione immunitaria, che può portare a polmonite e persino alla morte. I sintomi respiratori (tosse secca, difficoltà respiratoria), accompagnati da febbre, sono quelli più comuni. In realtà, l’infezione non è limitata all’apparato respiratorio, ma può interessare anche altri distretti anatomici quali l’intestino e, di conseguenza, tutto quello che ospita come il microbiota che, come è noto, riveste un ruolo centrale nel suo funzionamento.

Oltre l'interessamento polmonare nella COVID-19 si è scoperto il coinvolgimento di altri distretti anatomici tra i quali il tratto intestinale, sede del microbiota intestinale.
Figura 2 – Localizzazione del virus nei vari distretti anatomici

I primi ad evidenziare che nell’evoluzione di questa malattia anche il microbiota intestinale potesse giocare un ruolo rilevante furono i medici cinesi, sulla base della loro esperienza sul campo. Come già detto, dopo i sintomi respiratori, i più frequenti sono quelli gastrointestinali con diarrea, nausea, vomito e/o dolore addominale che colpiscono circa il 20-30% dei pazienti e, in un limitato numero di questi, compaiono addirittura prima dei disturbi respiratori.

Su 254 pazienti osservati all’ospedale di Wuhan nel periodo dicembre 2019 – febbraio 2020, l’incidenza dei sintomi è stata la seguente: febbre 211 (83%), tosse 98 (38.6%), sintomi gastroenterici 66 (26%) (con maggiore frequenza nelle donne). Il peggioramento della condizione respiratoria è, di norma, correlato anche a quella gastrointestinale. Nei bambini, invece, la manifestazione clinica della malattia può essere atipica, con sintomi respiratori minori sostituiti da disturbi gastrointestinali, sonnolenza o ipersonnia, aumento della frequenza respiratoria. In un recentissimo studio italiano, su 420 pazienti COVID-19, 247 hanno mostrato almeno un sintomo a carico dell’apparato digestivo: diarrea (35%), nausea (20%), problemi di consistenza delle feci (15%). Il meccanismo virale alla base dell’infezione è basato sull’interazione del virus con il recettore ACE2 (enzima di conversione per angiotensina-2) e la proteasi TMPRSS2 espresso sia a livello polmonare sia, soprattutto, a livello gastroenterico.

I due recettori del virus sono presenti, in contemporanea, soprattutto nell’ileo e nel colon. Secondo Zhang ed altri ricercatori anche la via oro-fecale potrebbe essere una modalità di trasmissione. Infatti, nei campioni di feci e urine di oltre il 20% dei pazienti COVID-19 è stato rilevato RNA virale, anche in assenza di sintomi e tracce di infezione a livello respiratorio. Al momento, non ci sono evidenze certe su questa modalità di trasmissione del virus. Questi dati sostengono tuttavia un coinvolgimento gastroenterico e una prolungata permanenza del virus nell’intestino dove, in seguito alla sintesi di specifiche proteine e materiale genetico può replicarsi e diffondersi. Gli enterociti sarebbero dunque una sorta di “riserva” del coronavirus, un serbatoio virale attivo che spiegherebbe la presenza del patogeno nelle feci anche dopo la scomparsa dall’apparato respiratorio.

Inoltre, considerato che l’apparato digerente è la sede principale del sistema immunitario, è plausibile che quest’organo svolga un ruolo essenziale nello sviluppo della tempesta infiammatoria sistemica, la famosa tempesta citochinica che, come noto, è il meccanismo predominante della patogenesi di COVID-19. È noto che la fisiopatologia di COVID-19 è principalmente immunologica e che la presenza nel torrente ematico delle citochine pro-infiammatorie, in particolare TNF-α, IL-1 beta e soprattutto IL-6, è associata a una progressione clinica peggiore.

Sul possibile ruolo del microbiota intestinale  

Tutto quanto detto fa supporre che il microbiota intestinale possa svolgere un ruolo importante nello sviluppo e/o decorso dell’infezione. Gli studi pubblicati in questi mesi si sono giustamente concentrati sul polmone, perché c’era da affrontare un’emergenza sanitaria senza precedenti, mentre sull’apparato gastroenterico i dati sono ancora piuttosto limitati. Sulla base di ciò iniziano a essere pubblicati alcuni studi finalizzati a capire le possibili alterazioni della componente batterica intestinale in relazione a COVID-19.

Sebbene i dati siano ancora preliminari, l’obiettivo del microbiota intestinale potrebbe infatti rappresentare un’opzione terapeutica e/o un utile adiuvante. Sembrerebbe che determinati ceppi batterici siano in grado di modulare l’espressione dei recettori per i coronavirus, ACE2 in primis, ma anche DPP4 e ANPEP. La presenza di Salmonella enterica nell’intestino tenue ha difatti dimostrato di aumentarne l’attività e, di conseguenza, una maggiore probabilità di replicazione virale e sviluppo della patologia associata.

Anche il batterio Ruminococcus gnavus, sembra correlare positivamente con i livelli aumentati di citochine pro-infiammatorie. Questo significa che un paziente COVID-19 che presenta livelli molto alti di questi batteri nel microbiota intestinale, potrebbe avere un rischio più alto di andare incontro alla tempesta citochinica.

La composizione del microbiota, assieme ad una permeabilità intestinale alterata, potrebbero avere un ruolo importante nella prognosi dei pazienti COVID-19. Tutte le volte che, in presenza di un aumento della permeabilità intestinale vi è la traslocazione di frammenti batterici dal lume intestinale al sangue si verifica una endotossemia, che innalza il rischio di micro trombosi. È interessante notare che studi recenti riferiscono che in alcuni pazienti con problemi gastrointestinali, gli acidi nucleici virali sono stati rinvenuti da tamponi di feci e tamponi anali. Dagli studi emerge che il virus si lega all’enzima 2 di conversione dell’angiotensina (ACE2) che si trova nei polmoni e nelle piccole cellule epiteliali intestinali. L’idea del cross-talk intestino-polmone non è nuova, poiché sappiamo che esiste un asse tra l’intestino e il polmone, anche se non sappiamo ancora in che modo avvenga questo cross-talk.

Asse intestino-polmone ed azione modulatoria del microbiota intestinale sulla risposta citochinica.
Figura 4 – Asse intestino – polmone

Per tutti questi motivi è fondamentale monitorare i pazienti COVID-19 post dimissione, anche dal punto di vista gastro-enterologico.

Probiotici, infezioni virali e COVID-19

Le ricerche hanno dimostrato che i microrganismi con la capacità di modulare la risposta immunitaria intestinale e sistemica potrebbero essere utilizzati nelle infezioni respiratorie batteriche e virali per migliorare i rispettivi esiti.

È noto che i probiotici possono prevenire la diarrea associata agli antibiotici e le infezioni del tratto gastrointestinale, ma anche infezioni in altri siti, tra cui sepsi e infezioni del tratto respiratorio di cui i virus sono gli agenti nella buona parte dei casi.

Negli ultimi decenni, diversi probiotici hanno dimostrato di prevenire e/o ridurre la durata delle infezioni batteriche e/o virali. 

È stato anche documentato l’impatto dei probiotici sulla prevenzione delle infezioni respiratorie causate da virus specifici.

In uno studio di meta-analisi ceppi di Lactobacillus rhamnosus hanno ridotto da 2 a 3 volte l’incidenza di infezioni del tratto respiratorio da parte di virus clinicamente definiti rispetto alla somministrazione del placebo.

Nello stesso studio, l’’incidenza di episodi associati ai rinovirus, che comprendeva l’80% di tutti gli episodi respiratori, è stata fortemente ridotta con l’utilizzo di prodotti probiotici o prebiotici.

In un altro studio condotto su 1.783 bambini in età scolare, l’incidenza di infezioni del tratto respiratorio in corso di influenza è stata ridotta in seguito al consumo di Lactobacillus brevis.

Questi risultati positivi sono stati confermati in un’altra indagine che includeva 27 soggetti anziani che ricevevano Bifidobacterium longum contro un placebo.

La somministrazione di alcuni bifidobatteri o lattobacilli ha un impatto benefico sulla eliminazione del virus dell’influenza dal tratto respiratorio.

Le prove dell’attività antivirale dei ceppi probiotici contro i comuni virus respiratori, inclusi influenza, rinovirus e virus respiratorio sinciziale, provengono da studi clinici e sperimentali.

Sebbene nessuno di questi effetti o meccanismi sia stato testato sul virus SARS-CoV-2, questo non dovrebbe impedire di considerare questo approccio, considerato anche il dato che sono stati riportati effetti positivi dell’uso di probiotici contro altri ceppi di coronavirus.

I ceppi probiotici migliorano i livelli di interferoni di tipo I, aumentano il numero e l’attività delle cellule presentanti l’antigene (APC), delle cellule NK, delle cellule T, nonché i livelli di anticorpi specifici sistemici e mucosi nei polmoni.

Ciò rende degno di considerazione il loro uso per contribuire a rallentare la progressione della pandemia causata dal coronavirus.

Nell’ambito del trattamento di pazienti COVID-19 i probiotici possono essere utilizzati per mantenere l’equilibrio del microbiota intestinale e prevenire anche un’infezione batterica secondaria.

Nonostante il governo cinese sembra avere riconosciuto l’importanza della modulazione del microbiota, non abbiamo ancora certezze, né tantomeno linee guida, sul tipo di probiotici da usare.

Al momento non ci sono evidenze cliniche dirette che la modulazione del microbiota intestinale svolga un ruolo terapeutico nel trattamento del COVID-19, però si ipotizza che il targeting del microbiota intestinale possa essere una nuova opzione terapeutica o almeno una scelta terapeutica adiuvante.

Alterazione della risposta immunitaria è stata infatti osservata nei pazienti COVID-19 a carico principalmente di IL-1 e IL-6, molecole del sistema immunitario che possono essere modulate anche attraverso l’assunzione di specifici probiotici.

Azione modulatoria del microbiota intestinale sulla risposta immunitaria.
Figura 5 – Modulazione immunitaria del microbiota nella COVID-19

Ristabilendo l’equilibrio del microbioma si potrebbe influenzare il sistema immunitario considerandone la correlazione già dimostrata in molti studi. 

Esistono anche prove del fatto che i ceppi probiotici modificano l’equilibrio dinamico tra citochine proinfiammatorie e citochine immunoregolatorie che consentono l’eliminazione virale minimizzando il danno mediato dalla risposta immunitaria ai polmoni.

Ciò potrebbe essere particolarmente rilevante per prevenire l’ARDS (sindrome da distress respiratorio acuto), una delle principali complicanze della malattia COVID-19.

Uno studio di controllo randomizzato con Lactobacillus plantarum DR7 ha mostrato la soppressione delle citochine pro-infiammatorie plasmatiche (IFN-γ, TNF-α) negli adulti di mezza età ed il potenziamento delle citochine anti-infiammatorie (IL-4, IL-10) nei giovani adulti, con riduzione dei processi di perossidazione e dei livelli di stress ossidativo.

Un recente studio condotto in Cina ha dimostrato che i pazienti con COVID-19 presentano disbiosi con diminuzione della conta dei Lactobacillus e Bifidobacterium.

Lo stesso studio ha proposto l’uso di prebiotici o probiotici come terapia aggiuntiva per regolare l’equilibrio del microbiota intestinale e ridurre il rischio di infezione secondaria in quei pazienti.

Data la tempesta di citochine che sembra verificarsi in molti pazienti COVID-19, questo tipo di modulazione può rivelarsi molto importante.

Il modo in cui i ceppi probiotici somministrati per via orale contribuiscono a questo sembra coinvolgere la risposta immunitaria messa in atto dall’intestino, punto focale delle difese del corpo.

I meccanismi che potrebbero spiegare il successo clinico dei probiotici comprendono quindi il potenziamento della barriera epiteliale intestinale, la competizione con agenti patogeni per i nutrienti e l’adesione all’epitelio intestinale, la produzione di sostanze antimicrobiche e la modulazione del sistema immunitario ospite.

Pertanto, i ceppi probiotici documentati per migliorare l’integrità delle giunzioni strette, ad esempio aumentando la produzione di butirrato, un SCFA carburante per i colonociti potrebbe ridurre teoricamente l’invasione di SARS-Cov-2.

I batteri probiotici possono interagire con il nostro microbioma intestinale per rafforzare il nostro sistema immunitario, aumentare le risposte immunitarie e promuovere specifici segnali immunitari con rilevanza fisiologica.

Sarebbe certamente utile sapere se esiste uno specifico “profilo di microbiota” ad azione protettiva, ma lo potremo sapere solo con uno studio prospettico.

In vista di una possibile “seconda ondata” della pandemia, questi dati sarebbero davvero preziosi.

Conclusioni

Nonostante le strategie basate sul distanziamento sociale, l’igiene e lo screening, COVID-19 sta progredendo rapidamente in tutto il mondo, con i sistemi sanitari che sono a rischio di essere sopraffatti.

Mentre è ancora in corso l’identificazione di terapie farmacologiche efficaci, i vaccini non saranno disponibili nel prossimo futuro.

Pertanto, sono necessarie con una certa urgenza ulteriori strategie preventive; le strategie più efficaci sicuramente sono quelle che mirano a rafforzare il nostro sistema immunitario.

Non esiste una logica scientifica dell’utilizzo dei probiotici per proteggere, prevenire o trattare specificamente l’infezione da SARS-CoV-2.

Il microbioma intestinale ha un impatto critico sulle risposte immunitarie sistemiche e sulle risposte immunitarie in siti mucosi distanti, inclusi i polmoni.

Aiutare a mantenere una diversità microbica intestinale sana e prevenire la disbiosi intestinale negli anziani, nei neonati e nella popolazione generale riveste una grande importanza.

Coniugare una dieta sana ed equilibrata con prebiotici, probiotici, potrebbe aiutarci a rafforzare il nostro sistema immunitario per fronteggiare meglio e ridurre il danno causato dal virus nel causare la malattia COVID-19.

In sintesi, i ceppi probiotici somministrati per via orale possono ridurre l’incidenza e la gravità dei sintomi respiratori virali.

In un momento in cui i medici usano farmaci con scarsi dati anti-COVID-19, i ceppi probiotici documentati per attività antivirali e respiratorie dovrebbero diventare un valido strumento per ridurre il carico e la gravità di questa pandemia.

In conclusione, sebbene la disbiosi intestinale sia stata suggerita nella patogenesi di alcune condizioni respiratorie e sebbene la modulazione del microbiota intestinale dovrebbe essere uno dei promettenti approcci terapeutici per alleviare COVID-19 e/o le sue complicanze infiammatorie associate, l’utilità dei probiotici come terapia aggiuntiva dovrebbe essere ulteriormente indagata attraverso studi clinici controllati randomizzati per stabilire la loro efficacia e sicurezza.

Giuseppe Chindemi

Fonti

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